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IMPROVVISARE FA MALE ALL’EXPORT

Perché è indispensabile pianificare l’export. Scegliendo con anticipo paesi e azioni su cui investire.

(tratto dal n°6/2019 di Impresa e Territorio, magazine di informazione di Confartigianato Imprese Varese)

All’estero abbiamo preso brutte abitudini. Riparati dietro al racconto reale ma indulgente sulle pmi reattive, resilienti e veloci, improvvisiamo. Ma anche per l’export, e così per altre azioni che decidono le sorti dell’impresa, come il passaggio generazionale, la pianificazione è decisiva.

Troppa improvvisazione fa male, lo sanno anche le imprese che partono con ottimi propositi: l’anno prossimo si punta sull’Europa dell’Est, tra sei mesi correggiamo la rotta verso la Cina e nel 2021 magari torniamo in Svizzera.

Tutto bene, fino al primo imprevisto. Il cliente che paga un pezzo per volta e vai fuori di testa, la consegna importante che salta perché il fornitore è in ritardo e ti trovi a caricare i bancali il sabato mattina, il tal mercato che scompare da un giorno all’altro per ragioni politiche o normative: tutte le promesse sui tempi e metodi finiscono nel frullatore, e la pianificazione si riduce a un nodo al fazzoletto perso chissà dove; finché una domenica mattina dell’anno dopo si riesce a rimettere tutto sul tavolo per riprendere il filo. Ma è tardi, il mondo è già cambiato.

Ormai l’instabilità è una costante, in una settimana spariscono dalla scrivania interi mercati, alcuni clienti finiscono nel cestino e le coordinate con cui sei mesi fa avevamo fatto le nostre scelte, sono introvabili. Per questo non possiamo più contare sulla nostra pur eccezionale capacità di adattarci.

Ogni pmi che voglia avvicinarsi all’export o migliorarlo, ha a disposizione poche operazioni:

  • Fiere (light o con stand fisici);
  • Incontri (B2B) con clienti, distributori, importatori;
  • Visite spot a un singolo mercato/cliente;
  • Attività di eCommerce e marketing;
  • Assistenza di consulenti;
  • Assunzioni di professionisti dell’export.

Scelti i paesi/mercati/clienti sulla base dei propri prodotti, la programmazione dell’utilizzo di questi strumenti incrocia un altro vincolo oggettivo: le quasi-sempre-scarse risorse da investire. Sono queste le ragioni interne per cui è indispensabile pianificare l’export, ma ce ne sono di esterne che sfuggono al controllo dell’impresa.

Ci sono eventi brevi con conseguenze immediate, visibili e spesso rumorosi, che modificano le traiettorie dei nostri prodotti e delle nostre azioni (le Primavere Arabe, la guerra in Crimea con i dazi verso la Russia, le proteste ad Hong Kong…). Aggiungiamo pure l’accidente dei dazi Usa sull’agroalimentare, anche se ce ne sono di positivi, come l’accordo CETA con il Canada o quello con il Giappone, che in breve hanno fatto bene – in termini di prezzi – alle nostre imprese.

Ci sono poi eventi “lunghi”, perché lanciano segnali deboli molto prima di manifestarsi e hanno poi conseguenze profonde e durature; quasi invisibili, segnano il destino dei bilanci di alcuni anni, con ricavi che spariscono e costi che spuntano dal nulla. Anche questi dirottano i voli dell’export, ma è più difficile vederli e ponderarne gli effetti.

  • Negli ultimi dieci anni la quantità di prodotti esportati nel mondo è diminuita; aumenta l’autoconsumo e i Paesi cercano maggior indipendenza produttiva?
  • Solo il 18% delle merci scambiate passa da un paese a basso costo del lavoro ad un paese ad alto; quindi l’arbitraggio del costo del lavoro è meno importante?
  • Un terzo del valore dell’export globale è generato in un paese diverso da quello del produttore finale del bene; quindi il 33% dei paesi coinvolti nell’interscambio globale è un intermediario?
  • Aumenta il commercio estero tra regioni; significa che l’interscambio ha come priorità la prossimità (magari politica) e la velocità distributiva?
  • Aumentano le quote di commercio estero fatto di servizi; su quali degli assett intangibili è prioritario investire: brand, software, processi operativi o proprietà intellettuale?

Molti di questi casi potrebbero indicarci la lunga traiettoria del protezionismo, che sta portando i paesi a rivolgersi verso mercati interni o che fanno parte di una stessa regione di influenza politica, e questo è un segnale più complesso da valutare rispetto alla salita del prezzo di Parmigiano e mozzarella.

Ci sono piccoli-grandi eventi che sembrano lontani, eppure ognuno condiziona a modo suo le scelte sull’export. Pianificare non significa prevederli, ma prendere fiato, ignorare gli acronimi dei mercati più in voga, e sforzarsi per tradurre il percorso che abbiamo davanti in piccole tappe programmate.

Un percorso lungo almeno qualche anno, da non fare mai in solitaria. Imparando dai buoni esempi e dalle esperienze altrui, e costruendo con il cliente un rapporto duraturo, anche quando ha un altro passaporto.

Didascalia (esempio di pianificazione di azioni di export)

Antonio Belloni, consulente aziendale e saggista.