Oggi dove siamo

FORESTI: GESTIRE IL PAZIENTE CON STANDARD DI UBER E AMAZON

Applicare ai servizi sanitari gli standard di Amazon o Uber è già possibile. E la ricetta di Luca Foresti – Ceo del Centro Medico Santagostino, normalista e uomo di numeri – è fatta di tecnologia ed efficienza, che facilitano la vita ai pazienti, in termini di prezzo e tempi di accesso ai servizi.

Ingredienti che potrebbero migliorare la gestione economica anche del sistema pubblico, se solo volesse cambiare modello, riufiutare un approccio ideologico ormai consolidato. E magari guardare all’esempio di Singapore e scommettere su Big Data e Intelligenza Artificiale, due treni da non perdere; mentre oggi le cartelle cliniche di pubblico e privato ancora non si parlano.

Intervista estratta dal business report privato 11 note di Intelligence Economica di Company | Note.

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Centro Medico Santagostino – Agli occhi degli utenti il Centro Medico Santagostino è efficace, efficiente. Costa il giusto ed è veloce. Se chiediamo agli utenti ci rispondono “mi danno appuntamento in pochi giorni, posso farmi visitare anche il sabato”. Ci descriva lei in breve il modello.

In Italia si spendono per la sanità 153 miliardi all’anno. Di cui 113 spesi dal sistema sanitario nazionale e circa 40 che sono spesi privatamente. Di questi 40 il 10% è transato tramite assicurazioni e il 90% out of pocket (36 mld all’anno di spesa privata). Questa spesa privata consiste prevalentemente in visite specialistiche, odontoiatria, fisioterapia, psicologia, esami del sangue e un po’ di diagnostica per immagini; quindi pochissima spesa per l’ospedale, quasi niente.

Quindi noi nel 2009 abbiamo creato un’offerta per la quale già le persone spendevano. Quindi oggi facciamo esattamente quelle attività di polispecialistica, fisioterapia, esami del sangue, diagnostica…. Siccome siamo nati un anno dopo la crisi, il tema del prezzo era molto sensato. Prendiamo il prezzo di una visita standard in Italia, 110/120 euro. Calcolando che una visita dura 20 minuti e che quindi un medico fa 3 visite all’ora: fanno 300 euro all’ora, 2.400 euro al giorno, 40mila euro al mese. Che è una cifra totalmente insensata. Troppo grande. Era quindi chiarissimo a noi che il tema del pricing nella sanità privata potesse essere attaccato bene. Tenendo conto che i ticket in Lombardia per una visita specialistica sono di 30 euro. Abbiamo definito un pricing che fosse adeguato per pagare tutte le componenti del servizio, ma sufficientemente basso per renderlo accettabile alle famiglie.

Anche il tema del servizio ha varie componenti. In una città come Milano, noi abbiamo tutte le nostre sedi di fronte a una fermata della metropolitana. Siamo quindi facilmente accessibili dalle persone. Nel nostro modello c’è anche il tema della qualità del luogo. La gente si è abituata ad andare in luoghi sanitari a volte fatiscenti e a volte che apparivano del tutto sanitari (in termini di percezione sensoriale e arredamento). Quindi abbiamo costruito dei centri esteticamente e funzionalmente più simili a una libreria o un bar, che a centro medico. E tutto il resto è stato pensato in modo maniacale per avere un’esperienza utente sensata.

A quel punto, per reggere tutto questo, l’unica strada era un uso massiccio della tecnologia, in modo da rendere il più possibile automatiche le attività extra cliniche con i pazienti – prenotazione, accettazione e pagamento – e in modo ad abbassare i costi di ognuna di queste attività. Oggi un nostro paziente prenota on line, in ogni momento della settimana, anche di notte, abbiamo pubblicato tutte le nostre agende, quando entra in un nostro centro fa un fast check in, si mette seduto, aspetta che il medico lo venga a prendere. Nel momento in cui il medico emette il referto, noi andiamo automaticamente a prelevare il pagamento dalla carta di credito e emettiamo la fattura. E il paziente può andarsene senza fare alcuna fila. Questo modo di gestire il percorso del paziente, che oggi è uno standard in altre industrie – Amazon, Uber o altri – non lo è all’interno della sanità. Quindi noi abbiamo semplicemente copiato metodologie ormai standardizzate altrove, nel mondo sanitario. Poiché gli altri operatori sanitari sono indietro da questo punto di vista, ovviamente i pazienti si sono fidelizzati, perché trovano tutto questo assolutamente efficace.

Medici – I numeri ci dicono che la popolazione italiana invecchia, quindi avrà bisogno di più cure, mentre il numero dei medici diminuirà di circa 5 mila all’anno (ne andranno in pensione 12mila l’anno e ne arriveranno 7mila nuovi). Passeremo da uno stock di 235mila (del 2014) a 185mila. Quanto e come sarà un problema?

È chiaro che se si mantiene lo stesso modello erogativo, se oggi per curare le persone si ha bisogno di un certo numero di medici, se li si diminuiscono si ha un problema di capacità produttiva. Allora si può cambiare il modello – è una cosa possibile – per esempio facendo empowerment di infermieri: delegando una serie di attività dai medici agli infermieri, si ha bisogno di meno medici e più infermieri. E poiché si ha un gap salariale tra medici e infermieri significativo, si può fare un’operazione in cui addirittura si diminuiscono le risorse economiche nel sistema sanitario, potenzialmente anche migliorando la qualità del servizio. Perché oggi con i pazienti cronici che aumentano, c’è molto spesso più bisogno di servizi erogati da infermieri che da medici.

Però non c’è nessun segnale in Italia di un cambio di modello.  E quindi tutti gli operatori continueranno a cercare medici. E non trovandoli cosa faremo? A partire da noi che abbiamo 700 medici in questo momento, e li raddoppiamo ogni 18 mesi, avendo un tasso di crescita del 50% annuo. Il che significa che nei prossimi 18 mesi dovremo trovare 700 medici. Quindi il mercato si restringe; l’offerta di medici diminuisce, mentre la domanda rimane uguale – anzi aumenta per l’invecchiamento della popolazione. Ed è un passaggio che sembra piccolo, ma conta moltissimo: ogni anno che passa dovremmo aggiungere al sistema vigente almeno 2 miliardi e mezzo in più, da finanziare, per mantenere esattamente le stesse condizioni. Invece dal 2008 il finanziamento pubblico alla sanità non è cresciuto, a 113 miliardi.

Tempi e metodi – Quanto è possibile rendere efficiente la macchina della sanità (es. aprendo uffici “locali”, estendendo gli orari di apertura, ottimizzando risorse umane)?

Quando noi apriamo un centro lo dotiamo di tutte le risorse per erogare al massimo livello di riempimento; quindi apriamo e perdiamo soldi all’inizio, ma lo prepariamo per erogare alti volumi a buona qualità. Poi di solito che lo riempiamo molto velocemente. Il trade off è quindi tra velocità di crescita e costi finanziari. Il nostro modello vive quindi solo di fortissima crescita. Se noi per un po’ smettiamo di crescere, dobbiamo cambiare modello.

Spesa – Il tasto dolente della sanità italiana è la spesa sanitaria. Come e da dove si comincia per sistemarlo?

È pensabile avere un modello che non espanda la spesa più del PIL, ma bisogna pestare tanti piedi; per esempio accettare che gli infermieri facciano di più di quanto fanno oggi, e ciò significa pestare i piedi dei medici. Per avere un modello che funziona, bisogna smettere con i “budget pubblici” dati ai privati, garantiti anno dopo anno. Bisogna invece andare verso un mercato con veri erogatori privati. Se quindi un erogatore viene scelto dai pazienti, va bene. Altrimenti non ha il budget.  

Logistica – Per la maggior parte degli utenti, il servizio medico è reso complicato da aspetti logistici: il “dove” e il “quando”. Come è possibile organizzare orari e luoghi in modo diverso da oggi, per far risparmiare tempo agli operatori e agli utenti?

Le erogazioni vanno divise in due mondi molto separati: quello delle erogazioni relativamente semplici da distribuire sul territorio, andando vicino a dove le persone vivono, creando dei piccoli centri (da 1000mq) più che sufficienti per avere all’interno tutto ciò che si può fare territorialmente. In un territorio come quello italiano significa che ogni cittadino per il 95% delle attività sanitarie che deve fare, fa pochi metri o chilometri.

Dall’altra parte ci sono invece le attività più difficili, ad alta intensità (chirurgiche, i punti nascita, e quelle ad altissima specializzazione) per cui vanno fatti dei centri eccellenza. Le persone che hanno bisogno di quelle attività si spostano anche centinaia di chilometri. Perché in quel caso c’è bisogno di altissima qualità clinica invece che prossimità. Quindi bisognerebbe chiudere i piccoli ospedali, accorpare le attività ad alta complessità in grandi strutture verticali. Va tenuto presente che l’ospedale è il luogo più pericoloso in cui stare sul territorio italiano: sono pieni di virus, batteri e condizioni altamente malsane. Quindi meno ci si sta e meglio è. Quindi fare le attività territoriali (“semplici” e quindi da distribuire sul territorio) dentro gli ospedali è un errore madornale, non ha senso, perché fa ammalare le persone, e per una questione di costi: un metro quadrato di un ospedale costa di più di un metro quadrato di un mio poliambulatorio. Quindi dovendo realizzare servizi semplici, si ha bisogno di costi più ridotti.

Sistemi sanitari – Ci sono Paesi che possono essere un esempio per l’Italia in questi termini?

Ogni paese ha un sistema finanziario – sulla sanità – diverso. Quindi ci sono i sistemi “Beveridge” (italiano) per cui i soldi arrivano dalle tasse e ci sono i sistemi a modello assicurativo, in cui i soldi arrivano da assicurazione (pubbliche o private) e i lavoratori ogni mese tirano fuori dal proprio reddito una cifra che viene denominata “copertura sanitaria” che permette al lavoratore e alla sua famiglia di essere coperto (come Germania, Svizzera e Usa). Poi c’è la questione dell’universalità (il fatto che non tutti sono coperti, come negli Usa, diversamente da Germania e Svizzera).

Il modello più bello in assoluto secondo me è quello di Singapore che è pensato con vari elementi, alcuni assicurativi, alcuni a tassazioni e alcuni out of pocket (pagano i pazienti). In Europa, il modello più vicino al nostro è quello inglese, poi ci sono quelli spagnolo e francese, che hanno una differenza fondamentale: hanno una grandissima quota di spesa privata fatta di spesa assicurativa (da noi il 10% dei 40 miliardi…) e meno dell’Italia in out of pocket. E questo produce cambiamenti strutturali importanti anche in chi eroga le prestazioni. Il caso italiano è particolare, come tutti gli altri.

Il sistema italiano – Cosa ha invece da dare il nostro?

Il caso italiano è particolare. Nel nord Italia, per gli acuti, coloro che hanno un problema acuto e anche per chi ha problemi molto seri, noi siamo i migliori al mondo. Chi vive in Lombardia, a Milano per intenderci, può star sicuro che se ha un problema serio verrà curato molto bene. Al meglio delle conoscenze che al mondo si hanno sulla sanità. Ovviamente nel sud Italia non è così (in Calabria e Sicilia). Se invece parliamo di cronicità, le attività più basilari o la prevenzione, il nostro è un sistema malato. Il modello che abbiamo non è un modello orientato a prendere in carico i bisogni sanitari di pazienti cronici, anziani o di pazienti sani. Quindi bisognerebbe fare una profonda riforma.

Tenendo conto che i tecnici che studiano il sistema sanitario sono tutti concordi su cosa ci sia da fare. Non c’è grande dibattito o diversità di opinioni. Il problema è che quando si tocca la sanità – quasi il 9% del Pil e un numero di posti di lavoro non indifferente – si fa molta ideologia, e chiunque prova ad affrontarne i problemi viene messo in croce. L’esempio concreto riguarda la chiusura dei piccoli ospedali: è un’attività politica che salva vite, ma viene recepita da molti cittadini come un mero strumento di risparmiare soldi e peggiorare la qualità della loro vita. L’ideologia vince sulla tecnica e sulla razionalità

Start up – La Cina si sta muovendo velocemente nel settore della sanità, anche favorendo gli investimenti e la nascita di start up. Cosa può portare il mondo delle start up al settore sanitario (in Italia)?

Il settore delle start up è asfittico, e manca di tutti gli elementi di un ecosistema funzionale: non ha un’università che collabora costantemente con le aziende; una mentalità comune che vede nel fare l’imprenditore un’opportunità migliore del posto fisso; soldi che vengono messi nei fondi di venture capital per finanziare le start up; un sistema fiscale e burocratico che non ostacoli le aziende, e fortissimi investimenti pubblici nella ricerca scientifica e tecnologica di base.

ManagementTolto il personale sanitario, il management italiano della sanità da dove viene? Potrebbe essere migliorato?

Ci sono due mercati di manager della sanità: quello delle aziende pubbliche e quello di quelle private. Le pubbliche tendono a frustrarli sul piano salariale e della possibilità di fare le cose: è difficile che un bravo manager pubblico non abbia avuto avviso di garanzia o dei problemi formali nelle proprie attività. E questo rende i manager frustrati, e li spinge a sopravvivere, anche se ce ne sono di bravissimi.

Poi ci sono quelli della sanità privata, che è quasi tutta finanziata da soldi pubblici. Quindi è un privato “finto” anche se si autogoverna. Se il pubblico ne determina le regole, i privati tendono a fare spesso quello che fa il pubblico, anche se l’ospedale privato costa, per la stessa attività, il 40% in meno del pubblico. Quindi quelli privati dal punto di vista finanziario sono più efficienti. Anche se tendono a fare attività meno complesse. È un mercato piccolo e vario.

Sappiamo quanto crede nell’utilità dei numeri. Quanto oggi i big data (e l’Intelligenza Artificiale) possono essere utili nel settore?

I Big Data sono presenti da tempo, e sono fondamentali. Sarebbe ovvio avere una cartella clinica di ogni paziente, condivisa tra tutti gli erogatori: indipendentemente dal medico che ci visita, se autorizzato, devo poter accedere a tutta la vita clinica passata. Devo poter accedere ai documenti ufficiali, firmati da altri medici. Questo in Italia non c’è. In molte Regioni neanche nel sistema pubblico. Molta attività è fatta da erogatori privati, e il sistema pubblico non chiede i referti del paziente, non li inserisce in un database centralizzato.

Quindi il privato non vede cosa ha fatto il pubblico e viceversa. Poiché il percorso e la scelta delle persone è vario, non si è in grado di ricostruire l’efficacia di quello che facciamo. Se oggi ci chiedono se noi siamo migliori degli altri a fare ciò che facciamo – se siamo onesti intellettualmente dobbiamo dire che non lo sappiamo. Perché dai dati non si è in grado di ricostruire gli effetti di ciò che si fa ai pazienti.

In merito all’Intelligenza Artificiale posso dire che i prossimi anni creeranno un fossato tra le aziende sanitarie che saranno in grado di utilizzarla e quelle che non saranno in grado. E né pazienti né i medici se ne stanno rendendo conto. Una specie di Armageddon, in cui l’IA renderà le prestazioni sanitarie molto diverse da come le abbiamo conosciute fino a ora. Solo poche aziende saranno in grado di farlo, e avranno una forza di mercato devastante.